Quando nasce un bambino il mondo si colora: di rosa o di azzurro!
Se dopo l’ecografia del quinto mese non si dice agli zii se è in arrivo un maschietto o una femminuccia inizieranno a storcere il naso perché non si sa di che colore comprare il completo per il lettino, se poi non lo si dice nemmeno ai nonni il malcontento raggiungerà livelli ancora più elevati: di che colore compriamo il fiocco da mettere fuori dalla porta? E le amiche? Come faranno a organizzare il babyshower perfetto con tutto a tema rosa o azzurro?
Sin dalla gestazione inizia la necessità di dare una connotazione cromatica a tutto, o quasi, quello che apparterrà alla nuova creatura in arrivo.
Con il termine GENDERIZZAZIONE si intende la caratterizzazione di un oggetto affinché sia chiaro il genere a cui si riferisce. Nel concreto? Provate a cercare in commercio dei vestitini per neonati dai colori e dai dettagli neutri… vi assicuro che il compito non è così banale come sembra!
Fino a non molti anni fa il colore che caratterizzava la prima infanzia era il bianco. Bianco = purezza? Macché, bianco = facile da lavare ad alte temperature. Da quando l’estetica ha assunto più valore della praticità e da quando le spinte consumistiche del secolo scorso hanno iniziato a cresce esponenzialmente il fenomeno della genderizzazione si è letteralmente impossessato di tutto il mercato che caratterizza la prima infanzia e non solo.
E quando crescono? A quanti carnevali avete partecipato in cui avete visto bambini vestiti da principi e bambine da meccanici? Quanti bambini hanno potuto veramente scegliere il loro travestimento in totale libertà in uno scaffale che non prevedeva una netta divisione tra “vestiti da maschi” e “vestiti da femmina”?
Potrei continuare con degli esempi ancora per molto ma voglio arrivare al nocciolo della faccenda. Che sia il vestito di carnevale o i vestiti per il primo giorno di scuola, stiamo facendo indossare a questi bambini un’etichetta per tenere bene a mente, noi adulti, il ruolo che questi devono avere nella società, in quanto appartenenti al genere maschile o al genere femminile. Queste etichette influiranno inevitabilmente sul processo di formazione dell’identità, intesa come sviluppo della percezione del sé come essere dotato di caratteristiche e capacità personali, uniche e irripetibili, che si costruisce grazie all’interazione costante con l’ambiente che circonda il bambino.
Se riuscissimo ad abbandonare, anche solo per un po’, quest’ottica così forzatamente dicotomica, permettendo ai bambini di scegliere in totale libertà il colore di vestiti, di arredo, di giochi che preferiscono credo che ne guadagneremmo davvero molto in termini di sviluppo sereno e armonico dei bambini.
Quando nasce un bambino il mondo si colora: di rosa o di azzurro!
Se dopo l’ecografia del quinto mese non si dice agli zii se è in arrivo un maschietto o una femminuccia inizieranno a storcere il naso perché non si sa di che colore comprare il completo per il lettino, se poi non lo si dice nemmeno ai nonni il malcontento raggiungerà livelli ancora più elevati: di che colore compriamo il fiocco da mettere fuori dalla porta? E le amiche? Come faranno a organizzare il babyshower perfetto con tutto a tema rosa o azzurro?
Sin dalla gestazione inizia la necessità di dare una connotazione cromatica a tutto, o quasi, quello che apparterrà alla nuova creatura in arrivo.
Con il termine GENDERIZZAZIONE si intende la caratterizzazione di un oggetto affinché sia chiaro il genere a cui si riferisce. Nel concreto? Provate a cercare in commercio dei vestitini per neonati dai colori e dai dettagli neutri… vi assicuro che il compito non è così banale come sembra!
Fino a non molti anni fa il colore che caratterizzava la prima infanzia era il bianco. Bianco = purezza? Macché, bianco = facile da lavare ad alte temperature. Da quando l’estetica ha assunto più valore della praticità e da quando le spinte consumistiche del secolo scorso hanno iniziato a cresce esponenzialmente il fenomeno della genderizzazione si è letteralmente impossessato di tutto il mercato che caratterizza la prima infanzia e non solo.
E quando crescono? A quanti carnevali avete partecipato in cui avete visto bambini vestiti da principi e bambine da meccanici? Quanti bambini hanno potuto veramente scegliere il loro travestimento in totale libertà in uno scaffale che non prevedeva una netta divisione tra “vestiti da maschi” e “vestiti da femmina”?
Potrei continuare con degli esempi ancora per molto ma voglio arrivare al nocciolo della faccenda. Che sia il vestito di carnevale o i vestiti per il primo giorno di scuola, stiamo facendo indossare a questi bambini un’etichetta per tenere bene a mente, noi adulti, il ruolo che questi devono avere nella società, in quanto appartenenti al genere maschile o al genere femminile. Queste etichette influiranno inevitabilmente sul processo di formazione dell’identità, intesa come sviluppo della percezione del sé come essere dotato di caratteristiche e capacità personali, uniche e irripetibili, che si costruisce grazie all’interazione costante con l’ambiente che circonda il bambino.
Se riuscissimo ad abbandonare, anche solo per un po’, quest’ottica così forzatamente dicotomica, permettendo ai bambini di scegliere in totale libertà il colore di vestiti, di arredo, di giochi che preferiscono credo che ne guadagneremmo davvero molto in termini di sviluppo sereno e armonico dei bambini.