Che ormai le scuole non riaprano almeno fino a settembre è un dato certo. Il diritto allo studio, tuttavia, è stato da subito e continua, più o meno, a essere garantito dall’attivazione su tutto il territorio nazionale della didattica a distanza (DAD).
Quando il 16 settembre 2019 è suonata la prima campanella del nuovo anno scolastico sono saliti in cattedra, secondo i dati aggiornati del MIUR, 835.489 insegnanti pronti a rispondere alle esigenze formative ed educative di oltre 8,4 milioni di studenti di cui 268.246 con disabilità.
Quando sabato 22 febbraio 2020 è finalmente suonata la campanella dell’ultima ora si era tutti pronti per godersi il meritato weekend ma nessuno era pronto a quello che sarebbe successo. Nessuno era pronto al lockdown generale e tanto meno all’idea che le scuole non avrebbero più ripreso la loro normale attività.
Dall’8 marzo l’intera comunità scolastica si è trovata ad addentrarsi nel mondo della didattica a distanza: tutti dietro ad uno schermo, dai 6 ai 19 anni da una parte e dal 30 ai 60 dall’altra. Genitori improvvisati tecnici video e audio che si destreggiano tra il loro smart working e questo nuovo modo di fare scuola.
Ma questa didattica a distanza sta raggiungendo tutti? E gli alunni con disabilità? Purtroppo i dati ci parlano di una sparizione del 36% degli alunni con Bisogni Educativi Speciali nella didattica a distanza. Un numero elevatissimo a cui è doveroso dedicare la giusta attenzione.
Che il modello della scuola inclusiva italiano sia quello invidiato da molti altri paesi è ormai noto ma che in questo momento stia facendo emergere le sue principali lacune è altrettanto evidente. Il modello della scuola inclusiva si basa sull’apprendimento all’interno di un contesto sociale che garantisce equità e qualità. Credo sia doveroso adoperarsi per rendere la didattica a distanza inclusiva e sostenibile, per gli alunni ma anche per le famiglie che si sono trovate ancora una volta a sopperire a delle mancanze ingiustificabili improvvisandosi oltre che tecnici informatici anche mediatori dell’apprendimento.
Genitori di ragazzi autistici alle prese con piattaforme informatiche traboccanti di stimoli visivi ingestibili dal loro ragazzo che hanno passato le loro notti a crearne una versione semplificata; mamme di ragazzini con deficit sensoriali che hanno letto, scritto, ingrandito i testi sui cui bisognava studiare; papà che hanno provato a rendere pratici gli apprendimenti più ostici.
Non si poteva fare diversamente? Sicuramente nell’emergenza è stato fatto il massimo ma adesso è necessario fare meglio, non si può più aspettare perché le scelte fatte adesso ricadranno sulle generazioni future poiché il prezzo da pagare rischia davvero di essere troppo alto. Iniziamo a far pensare, a chi ne ha le competenze, una didattica a distanza inclusiva, non si può più attendere!
Che ormai le scuole non riaprano almeno fino a settembre è un dato certo. Il diritto allo studio, tuttavia, è stato da subito e continua, più o meno, a essere garantito dall’attivazione su tutto il territorio nazionale della didattica a distanza (DAD).
Quando il 16 settembre 2019 è suonata la prima campanella del nuovo anno scolastico sono saliti in cattedra, secondo i dati aggiornati del MIUR, 835.489 insegnanti pronti a rispondere alle esigenze formative ed educative di oltre 8,4 milioni di studenti di cui 268.246 con disabilità.
Quando sabato 22 febbraio 2020 è finalmente suonata la campanella dell’ultima ora si era tutti pronti per godersi il meritato weekend ma nessuno era pronto a quello che sarebbe successo. Nessuno era pronto al lockdown generale e tanto meno all’idea che le scuole non avrebbero più ripreso la loro normale attività.
Dall’8 marzo l’intera comunità scolastica si è trovata ad addentrarsi nel mondo della didattica a distanza: tutti dietro ad uno schermo, dai 6 ai 19 anni da una parte e dal 30 ai 60 dall’altra. Genitori improvvisati tecnici video e audio che si destreggiano tra il loro smart working e questo nuovo modo di fare scuola.
Ma questa didattica a distanza sta raggiungendo tutti? E gli alunni con disabilità? Purtroppo i dati ci parlano di una sparizione del 36% degli alunni con Bisogni Educativi Speciali nella didattica a distanza. Un numero elevatissimo a cui è doveroso dedicare la giusta attenzione.
Che il modello della scuola inclusiva italiano sia quello invidiato da molti altri paesi è ormai noto ma che in questo momento stia facendo emergere le sue principali lacune è altrettanto evidente. Il modello della scuola inclusiva si basa sull’apprendimento all’interno di un contesto sociale che garantisce equità e qualità. Credo sia doveroso adoperarsi per rendere la didattica a distanza inclusiva e sostenibile, per gli alunni ma anche per le famiglie che si sono trovate ancora una volta a sopperire a delle mancanze ingiustificabili improvvisandosi oltre che tecnici informatici anche mediatori dell’apprendimento.
Genitori di ragazzi autistici alle prese con piattaforme informatiche traboccanti di stimoli visivi ingestibili dal loro ragazzo che hanno passato le loro notti a crearne una versione semplificata; mamme di ragazzini con deficit sensoriali che hanno letto, scritto, ingrandito i testi sui cui bisognava studiare; papà che hanno provato a rendere pratici gli apprendimenti più ostici.
Non si poteva fare diversamente? Sicuramente nell’emergenza è stato fatto il massimo ma adesso è necessario fare meglio, non si può più aspettare perché le scelte fatte adesso ricadranno sulle generazioni future poiché il prezzo da pagare rischia davvero di essere troppo alto. Iniziamo a far pensare, a chi ne ha le competenze, una didattica a distanza inclusiva, non si può più attendere!